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Alla fine del 1926 il ventottenne Julius Evola pubblicava, dopo averlo concordato con la casa editrice Atanňr, specializzata in testi di spiritualitŕ, occultismo ed esoterismo, un saggio che, nel panorama della cultura italiana era un unicum poiché affrontava nell'ambito delle dottrine orientali un tema sino a quel momento del tutto sconosciuto, quello dei Tantra. Il volume s'intitolava "L'uomo come potenza" e aveva per sottotitolo "I Tantra nella loro metafisica e nei loro metodi di autorealizzazione magica". In seguito l'autore l'avrebbe considerata come un'opera in cui "persistevano certe fisime dovute a una cultura di cui non mi ero ancora del tutto sbarazzato" e, a metŕ degli anni Trenta, lo riscrisse in una forma molto diversa, tagliando alcune parti, aggiungendone altre, e ripubblicandolo perň soltanto nel 1949 con un altro titolo: "Lo yoga della potenza". Dunque, due libri molto diversi fra loro, anche se il primo non č assolutamente da dimenticare, anzi per alcuni specialisti della materia, come il professor Pio Filippani-Ronconi nella introduzione alla ultima edizione de "Lo yoga della potenza" (1994), la fonte di questo, "L'uomo come potenza" appunto, č da molti punti di vista piů importante, addirittura superiore. Il libro costituisce dunque un'opera di transizione, o meglio di "congiunzione" come lo defině lo stesso Evola, tra la fase speculativa del suo pensiero e la scoperta delle dottrine orientali. Con un saggio introduttivo di Marcello De Martino.